DIO ERA BRASILIANO
Silvia Marianecci
Tempo, vita, morte, natura umana, Dio, tempo, memoria, conoscenza,
tempo, ancora Dio, essere, oblio, pensiero, ancora il tempo e ancora
Dio, sono i leitmotiv che caratterizzano il romanzo «Como
deixei de ser Deus» (Come ho smesso di essere Dio)
pubblicato da Topbooks nel 2009.
Un amalgama onirico, lirico ed erudito di frammenti
di riflessioni, di stralci di citazioni e di aforismi (spesso incompleti),
massime ed epigrammi apparentemente accozzati tra loro ma che invece
rispondono al disegno ben preciso di costruire con originalità
e ironia la fragile e complessa architettura del pensiero umano,
di fronte ai propri interrogativi e alle sue infinite contraddizioni.
Un gioco raffinato di stile quello dello scrittore mineiro Pedro
Maciel, dove la poesia si intreccia alla prosa e alla speculazione
filosofica e dove l’io narrante si sdoppia in una molteplicità
di voci che, mentre alludono alla crisi di una visione totalizzante
e univoca, fanno anche da coro al racconto della presa di coscienza
dell’individuo della sua natura umana, finita e limitata.
Il narratore smette di essere Dio e si riconosce
umano e mortale; mettendo in discussione i dogmi della civiltà
cristiana e occidentale egli punzecchia la sensibilità del
lettore senza tuttavia pretendere di fornirgli delle risposte. La
complessa e frammentaria architettura verbale e concettuale di «Como
deixei de ser Deus», lungi dal voler assumere quell’autorevolezza
caratteristica del discorso teologico, filosofico o estetico, e
modulata invece dal ritmo pacato di una graduale presa di coscienza,
è tutta incentrata sull’intertestualità e la
polisemia e rompe arbitrariamente con il compromesso formale del
genere romanzesco confermando ancora una volta lo stile originalissimo
di questo scrittore e giornalista di Belo Horizonte, autore già
di «A hora dos náufragos» (Bertrand 2006). (In
Itália, Pedro Maciel ha partecipato alla raccolta «Il
Brasile per le strade» con il testo Cimitero di uccelli,
edita da Azimut nel 2009).
Di seguito una breve intervista rilasciata da
Pedro Maciel per i lettori di Musibrasil:
S.M. Come è diventato uno scrittore,
che tipo di formazione ha avuto e quali sono le sue letture preferite?
P.M. Mi sono laureato in Comunicazione
Sociale ma ho anche seguito corsi di Storia, Filosofia e Cinema.
Sono cresciuto in una famiglia di accaniti lettori. Mi piace leggere
poesia, narrativa, filosofia, storia e libri di arte in generale.
Ho esercitato la professione di giornalista fino al 2003 e da allora
mi sono interamente dedicato alla letteratura. La letteratura è
vaneggiamento, con metodo. Il giornalismo è metodo, metodo,
metodo.
S.M. Cosa ne pensa della letteratura brasiliana
contemporanea, ritiene che ci troviamo di fronte a una produzione
originale e significativa o che i nuovi autori stiano semplicemente
seguendo il cammino aperto dai grandi maestri del XX secolo?
P.M. L’epoca attuale è
quella ideale, nonostante tutto e tutti. Io amo leggere i classici
ma leggo anche i miei contemporanei. La produzione attuale è
sempre più evoluta di quella del passato. Solo i nostalgici
“ritengono” che “prima” fosse meglio. Certe
volte un libro non è compreso dai suoi contemporanei perché
questi sono rimasti indietro, voglio dire cioè che sono “disconnessi”.
S.M. Ritiene che ci sia oggi una predominanza
della letteratura urbana che tratta temi come violenza e discriminazioni
sociali, o che ancora esista da parte degli autori e del pubblico
un interesse per una letteratura più intimista?
P.M. La letteratura è sempre
intimista, privata. Tolstoj dice che colui che parla del proprio
villaggio, parla del mondo. Lo scrittore esprime sempre le angosce,
le allegrie e i conflitti del suo tempo. Sia la letteratura urbana
sia la regionale esprimono quello che avremmo potuto essere e non
siamo stati.
S.M. Ci parli del suo stile e della sua
idea di romanzo che, come abbiamo visto, è molto originale
e innovatrice, e ci spieghi se nei suoi romanzi è possibile
rintracciare qualcosa del suo Brasile e del suo essere un cittadino
brasiliano.
P.M. Parafrasando Terenzio, abito a
Belo Horizonte ma sono cittadino del mondo. La mia sintassi è
diversa. Sono sempre a caccia dell’originalità. Qualcuno
ha detto che per essere originali è necessario volgersi verso
le origini. «A hora dos náufragos», pubblicato
da Bertrand Brasil nel 2006, e «Como deixei de ser Deus»,
lanciato nel 2009 dalla Topbooks, propongono uno schema narrativo
innovativo. Da più di un secolo ormai quello che conta non
è più cosa si narra ma come si narra. Io appartengo
al mio tempo. Io, il tempo lo lascio al vento.
S.M. Quale tipo di lettore lei ritiene
che possa interessarsi ai temi e allo stile dei suoi romanzi, ossia,
quando lei scrive, lo fa pensando a un target di pubblico in particolare?
P.M. La letteratura non esiste se non
c’è chi legge. Mi piacerebbe che i miei libri fossero
letti da chiunque. Per me il lettore è più importante
dell’autore.
(em http://musibrasil.net)
Intervista rilasciata il 14 gennaio 2010, traduzione di S. M.
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